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Ammortizzamento e ritorno elastico: un approfondimento


Dal punto di vista funzionale nella corsa il pattern di ammortizzamento e ritorno elastico identifica tutte le azioni e le sinergie muscolari che servono alla gestione delle forze verticali, durante il contatto al suolo. Nella prima parte dell’appoggio l’atleta deve assorbire le forze di reazione al suolo che il corpo provoca a causa della forza di gravità: il baricentro scende grazie ad un lavoro eccentrico degli estensori dell’arto inferiore. Parte di questa energia dovuta all’impatto viene dissipata e smorzata, mentre un’altra parte può essere immagazzinata nei tendini e nelle fasce dei muscoli per essere restituita in un secondo momento. Infatti nella seconda parte dell’appoggio, cioè dal momento in cui il baricentro passa sopra la base d’appoggio fino al distacco delle dita, questa energia immagazzinata si somma al lavoro concentrico che permette di realizzare la fase di volo e contribuire all’avanzamento nella fase di sbilanciamento.

Infatti la fase di ammortizzamento (prima parte della fase d’appoggio) coincide temporalmente con la fase di trazione, mentre la fase di ritorno elastico (seconda parte della fase d’appoggio) coincide con il pattern di sbilanciamento.


Se quindi le funzioni per la gestione delle forze verticali sono due, perché raccoglierle e unificarle in un unico pattern motorio? Perché queste due funzioni non sono fisiologicamente distinte tra di loro, sono l’espressione di potenza degli stessi gruppi muscolari che lavorano in modo pliometrico come molle. Quali sono questi muscoli? Sono quelli che compongono la catena cinetica estensoria dell’arto inferiore coadiuvata da tutti i muscoli che provvedono al controllo delle rotazioni a livello di tutte le articolazioni, dal piede alla testa dell’atleta.

Perché la gestione delle forze verticali sia efficiente e meno traumatica possibile è infatti fondamentale che i segmenti corporei siano allineati correttamente sul piano frontale e rotazionale, cosa assolutamente non banale, dato che uno studio condotto su runner d’elite ha proprio dimostrato che in questi atleti i movimenti del tronco e della pelvi sono significativamente ridotti rispetto agli atleti amatoriali, soprattutto in funzione dell’aumento di velocità.


Quali sono dunque, oltre al corretto allineamento, i fattori determinanti per l’efficienza di questo pattern motorio? Innanzitutto è fondamentale segnalare che gli atleti hanno la necessità di allenare i loro muscoli in modo specifico a smorzare gli impatti e a immagazzinare energia elastica. Per specificità si intende allenare il timing di attivazione e la composizione del tessuto muscolare proprio in funzione delle velocità di corsa e della disciplina, perché le esigenze funzionali di fondisti e sprinter in questo pattern motorio sono sicuramente molto diverse. I primi, anche in considerazione del volume di km che percorrono per allenarsi e gareggiare, hanno l’esigenza di trovare un compromesso tra dissipare una certa quantità di vibrazioni e forze d’impatto, che altrimenti distruggerebbero le loro articolazioni, e immagazzinare una certa quantità di energia per essere più performanti. Diversi studi mostrano, infatti, che proprio in funzione di quanto appena detto, i corridori di endurance devono avere un peso corporeo ridotto al minimo ed essere in grado di sviluppare strategie ed adattamenti muscolari individualizzati di resistenza muscolare, smorzamento (in inglese: "damping") ed elasticità (in inglese: "stiffness"). Grazie allo studio delle reazioni di forza al suolo con speciali piattaforme di forza è stato possibile dimostrare che i runner che si infortunano di meno mostrano di saper ammortizzare meglio gli impatti, sia perché flettono maggiormente il ginocchio durante l’appoggio, sia perché i loro muscoli sono più bravi nel modulare tono e attivazione. Ovviamente è possibile allenare e ottimizzare questo aspetto migliorando allineamento, equilibrio, sensibilità e lavorando su flessibilità e allenamento eccentrico dei muscoli; tuttavia, anche con un lavoro minuzioso, ci vuole molto tempo per migliorare questi aspetti, perché queste qualità muscolari hanno tempi di adattamenti lunghi, nell’ordine dei mesi.

E nella velocità, invece, cosa accade? Gli sprinter hanno l’esigenza di immagazzinare più energia possibile durante la fase eccentrica dell’appoggio e di mantenere il più possibile alto il baricentro. Non vi sono quindi compromessi possibili, non conta l’economia di corsa o la possibilità di trovare un equilibrio personalizzato tra l’ammortizzamento di caviglia e ginocchio per ridurre i traumi come avviene nell’endurance. L’idea dello sprinter d’elite è quella di scaricare a terra più forza possibile nel tempo più rapido possibile, in particolare nella prima fase dell’appoggio e di deformarsi il minimo possibile allo stesso tempo: l’unica cosa che conta è correre veloce, seppur per poche manciate di secondi.



Parlando invece di appoggio del piede, ha effettivamente una sua importanza per quanto riguarda il pattern di ammortizzamento? Assolutamente sì, così come ce l’ha la calzatura che l’atleta indossa. Più la calzatura è ammortizzata, maggiore sarà l’aiuto per quanto riguarda lo smorzamento, ma teoricamente minori saranno la propriocezione, la sensibilità e soprattutto le possibilità d’immagazzinamento di energia e ritorno elastico. Per quanto riguarda la tipologia d'appoggio, invece, la questione è più semplice di quello che si pensi: se ipotizziamo una condizione standard per le altre variabili cinematiche, quindi che la tibia arrivi a terra verticale con un movimento dall’alto in basso, possiamo dire che, se l’appoggio inizia con il mediopiede o l’avampiede, la struttura di piede e caviglia potranno lavorare più proficuamente in modo elastico durante la fase di carico. Al contrario, se è il tallone a toccare per primo al suolo, il polpaccio e la muscolatura intrinseca del piede avranno minori possibilità di partecipare all’ammortizzamento e maggior lavoro meccanico dovrà essere espresso a livello del ginocchio.

Nell'endurance, non esiste una regola generale per identificare la coordinazione ottimale tra il lavoro della caviglia e del ginocchio: il compromesso ottimale dipende dalle caratteristiche antropometriche dell’atleta, dalla mobilità della sua caviglia, dalle caratteristiche elastiche e dalle sinergie della catena estensoria, dal piede fino dell’anca. Allo stesso modo nella corsa di endurance, non esiste nessuna evidenza che una strategia d’appoggio sia migliore dell’altra in assoluto Al contrario nello sprint, dove come ricordato prima non ci sono compromessi possibili, il velocista corre con scarpe rigidissime, senza alcun ammortizzamento e adottando una strategia d’appoggio d’avampiede, per massimizzare l’immagazzinamento di energia.


All’interno di un articolo sull’ammortizzamento, una nota deve essere assolutamente fatta anche per quanto riguarda la corsa in discesa e in salita. Innanzitutto è doveroso precisare che uno studio ha dimostrato che in entrambe queste condizioni l’energia che può essere immagazzinata nei tessuti a livello della caviglia è approssimativamente la stessa e dipende pochissimo dall’inclinazione. Quindi, ad esempio nella corsa in montagna, per quanto riguarda il ritorno elastico, è importante sottolineare che la partita si gioca sicuramente a livello dei distretti superiori: l'anca e soprattutto il ginocchio, i veri "motori" della corsa. Diverso è invece il contributo dello smorzamento: in discesa, man mano che la pendenza aumenta il fattore assorbimento degli impatti diventa cruciale e determina la prestazione in modo considerevole. In salita, invece, il fattore smorzamento diventa meno importante che in pianura; vi è però la necessità di produrre "attivamente" una componente verticale maggiore: bisogna spingere di più ed è proprio questa spinta che determina il maggior costo energetico della corsa quando si sale.



L’ammortizzamento è dunque una funzione che deve tener conto di infinite variabili, tante quanto sono le possibili combinazioni di tempi di contatto e tempi di volo ad una data velocità/pendenza. Fondamentale per l’efficienza è l’equilibrio sistemico individuale che il singolo atleta deve trovare e allenare in funzione della performance e della prevenzione infortuni, scegliendo anche la calzatura adatta che possa favorirlo il più possibile.

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